Migranti – Valigia Blu

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Una giornata nel centro di accoglienza di Ferrara

Cominciamo. Jacopo, coordinatore dei progetti di accoglienza per la cooperativa, fa da cicerone e ci porta dentro i tre appartamenti ricavati da una vecchia scuola elementare che ora ospita venti persone. La cosa che mi stupisce subito sono i sorrisi dei ragazzi che ci vivono. Sono felici di aprirci le loro stanze, farci vedere le loro cucine. L’odore di spezie mi pervade il naso, una grossa pentola bolle, lo stendibiancheria colmo di vestiti ad asciugare è posizionato in un angolo buio per non farsi notare, una scarpiera rimasta accidentalmente semi aperta mostra una serie di scarpe tenute perfettamente in ordine. Lì dentro vivono quattro persone.

In un secondo appartamento trovo un ragazzo pakistano, si siede sul divano dopo essersi presentato e mi dice: «Sono un po’ stanco, ho cucinato tutta mattina!». Sorrido, non capisco a cosa si riferisce. Ci sono due ragazzi afgani poco più grandi di me, mi dicono che il viaggio è stato lungo e faticoso. «Ci abbiamo messo tre mesi solo a passare le montagne tra Iran e Turchia. Faceva così freddo lassù!». «Come contattate le vostre famiglie?» chiedo curiosa. Uno di loro alza gli occhi al cielo e scuote la testa, l’altro dice che lui la famiglia ce l’ha ma i pali del telefono sono crollati per la guerra quindi fanno molta fatica a sentirsi. Comincio a sentirmi in imbarazzo. Lo sguardo cade su un foglio appeso al muro: è la tabella dei turni per le pulizie. Deve funzionare bene, il pavimento è così pulito che ci si potrebbe stendere a terra.

Torniamo fuori. La luce del sole è diventata intensa, le nuvole che promettevano pioggia sono scomparse in fretta, senza che me ne accorgessi. Un rumore forte, stridulo viene dall’unica casa nelle vicinanze. Faraone e galline. Mi avvicino a Jacopo e gli chiedo. «La convivenza come va?», lui sorride calmo e mi risponde: «Bene! Hanno inventato uno scambio. I ragazzi tengono il pane secco da parte invece di buttarlo e la signora di fianco lo prende sempre volentieri e in cambio gli da un sacco di uova fresche!». Poi, serio, continua: «alla fine basta conoscersi». Chissà come deve essere il dialogo tra un ragazzo ventenne pakistano o nigeriano e una vecchietta ferrarese?

Con questa domanda la visita finisce e mi rendo conto che sono proprio gli ospiti della casa che hanno cucinato per noi: riso con spezie e ceci, polpette di carne con sugo di pomodoro, peperoni e un piatto africano a base di pollo, carne di manzo e pesce. «È proprio poco poco piccante!» mi assicura il cuoco. Cecilia, una ragazza della cooperativa mi sorride: «Attenta, il loro poco piccante è molto diverso dal nostro!». Troppo tardi. Ho già messo la forchetta in bocca. Resto per il tè afgano servito rigorosamente bollente.

Metto in moto la macchina, parte la musica, il termometro segna 26 gradi, sembra agosto. Riparto ma dopo pochi minuti decido di fermarmi e scattare qualche foto al grano pronto per essere tagliato. Sembra proprio perfetto. Come in una cartolina. Solo allora vedo passare i quattro ragazzi sorridenti che avevo appena fotografato. Vanno veloci sulle loro bici, il loro unico mezzo di trasporto per coprire i tre chilometri e mezzo che li separano dalla prima fermata dell’autobus. Mi salutano e mi ringraziano ancora per le foto.

“Alla fine basta conoscersi…”, penso, avvio l’auto e me ne torno in città.

da ListoneMag


Segnalato da:
Cooperativa Camelot

Categories:   Segnalazioni

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