Migranti – Valigia Blu

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Le storie di Daniel e Idris che vogliono raggiungere il Nord Europa dopo aver lasciato l’Eritrea, “un paese governato dalla paura”

Daniel aspetta i soldi che i parenti gli hanno inviato per continuare il viaggio: “me li ha spediti mia mamma che vive in Norvegia da sette anni” dice. Idris, invece, spiega di attendere “che gli stati europei prendano delle decisioni sulle frontiere”. “Vogliono andare in Germania per curarmi” spiega indicando il braccio destro, che muove poco e con difficoltà.

Non spiega cosa gli sia successo, ma quando dice di essere stato in prigione lo si può facilmente intuire. L’Eritrea, ex colonia italiana dell’Africa orientale oggi abitata da poco più di sei milioni di abitanti, è stata definita da un rapporto ufficiale dell’Onu pubblicato poche settimana fa “un paese governato dalla paura”.

Un comunicato delle Nazioni Unite spiega che il regime del presidente Isaias Afewerki, in carica ininterrottamente dall’indipendenza del 1993, “è responsabile di sistematiche, diffuse ed evidenti violazioni dei diritti umani che hanno creato un clima di paura in cui il dissenso è soffocato, una larga fetta della popolazione è soggetta a lavori forzati e detenzione e centinaia di migliaia di rifugiati hanno lasciato il Paese”. Proprio come hanno fatto Daniel e Idris.

Il primo lo spiega con poche parole, pronunciate in un inglese stentato ma efficace. “Police… prison” (Polizia… prigione) risponde quando gli si chiede il motivo per cui ha lasciato la capitale Asmara dove viveva insieme al padre e, nonostante la giovane età, lavorava come meccanico. Idris, invece, avendo fatto l’Università, articola il suo pensiero con maggiore complessità, mostrando una gran voglia di raccontare. “Così spero che in Europa si capisca perché decidiamo di partire” dice. “Ho studiato tre anni e mezzo legge all’università di Asmara. Poi sono finito in carcere, per alcuni mesi”. Il motivo? Semplice dissenso politico nei confronti del governo.

“In Eritrea la situazione economica è difficile, ancor di più da quando il regime ha impedito alle organizzazioni umanitarie di lavorare nel Paese” spiega. “C’è poi la leva militare obbligatoria per tutti, che dura anni e anni”. Daniel concorda, annuendo. Lui è scappato prima che arrivasse l’età dell’arruolamento, ma suo padre “è stato nell’esercito per quindici anni, dice indicando il numero con le mani.

“La cosa più grave però – riprende Idris – è la mancanza di consapevolezze politica delle persone. Fare opposizione è molto pericoloso nel mio Paese”. E, infatti, lui dopo essere stato incarcerato e rilasciato ha deciso di fuggire. Ha lasciato l’Eritrea circa sei mesi: poi, come per molti altri profughi suoi connazionali, è passato per l’Etiopia, il Sudan, la Libia, il Mediterraneo ed ha risalito la penisola fino a Milano diretto verso Nord.

I momenti peggiori, a detta di molti, sono stati quelli passati in Libia. “Non è uno stato” dice Daniel descrivendo il caos che attanaglia il paese che era una volta del colonnello Gheddafi. “Confusione e violenza. Niente cibo” aggiunge ricordando, con un misto di ironia e amarezza, che laggiù, tra Misurata e Tripoli, ha trascorso anche il suo ultimo compleanno, il diciannovesimo. Ricordi di un passato triste che si mescolano con la speranza di un futuro migliore e l’attesa di un presente incerto.

“Ora voglio raggiungere mia madre a Oslo e lì voglio lavorare” continua ottimista Daniel. Quando però gli viene mostrata una cartina dell’Europa e con il dito gli si fanno percorrere tutti i chilometri che separano la Lombardia e la Norvegia viene preso da un attimo di sconforto. “E lontano, molto lontano” sospira. Sembra non sapere molto della stretta dei controlli ai confini degli stati europei, degli sgomberi di Ventimiglia, delle pattuglie trilaterali a Bolzano, dello scaricabile sulla pelle dei migranti messo in atto dai governanti dei 28 paesi UE incapaci di trovare soluzioni condivise.

Idris, invece, è uno dei più aggiornati e combattiti all’interno del gruppo di ragazzi ancora accolti dalla Casa. “Sto aspettando di capire cosa succederà. Ma sono determinato ad andare in Germania perché ne ho diritto. Mi hanno già rimandato indietro quando ho provato a passare dalla Svizzera, ma non mi arrendo. Ho studiato giurisprudenza ad Asmara e una volta un professore mi disse che «quelli che studiano le leggi sono i primi a infrangerle». Al momento non capii bene il senso, ma ora il significato di quella frase mi è molto più chiaro”.

da Casa della Carità – Milano

 


Segnalato da:
Valentina Rigoldi

Categories:   Segnalazioni

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