Mohammed, 15 anni, diretto in Svezia, dice che quando la sua barca è naufragata si è salvato solo perché sapeva nuotare. Invece un suo caro amico, compagno di viaggio, non ce l’ha fatta. Aiman è un padre palestinese cresciuto nel campo profughi di Yarmouk a Damasco, dove i soldati del presidente Bashar al-Assad combattono con i gruppi terroristici. «Entrambi – dice – hanno iniziato a reclutare i maschi con la forza, minacciando di sparare alla madre o alla figlia se non si uniscono a loro; lo fanno per davvero, oltre a rubare i soldi e i beni dei cittadini, rapire i bambini e uccidere chiunque si opponga». Quando suo fratello è stato ammazzato, Aiman ha deciso di scappare con la famiglia. Moglie e figli ora si trovano in Svezia, ma lui è stato rimandato in Italia dal paese scandinavo. Il suo problema sta nei polpastrelli, il nemico si chiama Accordo di Dublino: un profugo può fare domanda d’asilo soltanto nel primo paese europeo in cui mette piede. Per rispettare il trattato, l’Italia dovrebbe prendere le impronte digitali a tutti i migranti sbarcati sulle nostre coste. Non sempre avviene, ma al padre siriano è andata male: respinto dalla Svezia, ha provato una seconda volta a raggiungere la Danimarca, nuovamente rimandato in Italia.
«Non mi arrendo – è convinto Aiman – uno dei prossimi giorni riparto, mi manca troppo la mia famiglia». Il sudanese Addouma, 21 anni, ha pagato 2500 dollari un trafficante per arrivare da Alessandria d’Egitto sulle coste italiane. «Prima di salire sulla barca, ci hanno picchiato come bestiame e insultato. La metà delle persone è scappata per la paura, perché la maggior parte di noi non aveva mai visto il mare. Passati sette giorni in acqua, ci hanno spostato su un’altra barca più grande dove c’erano già altre persone; dopo tre giorni abbiamo perso tutto il cibo e l’acqua dolce, mentre iniziavamo a imbarcare acqua. Una donna è morta per la sete, l’ho toccata ed era caldissima per la febbre. Il corpo è rimasto con noi per quattro giorni mentre andavamo alla deriva, finché una nave della Marina italiana ci ha salvato».
Al termine del suo racconto, Addouma ci tiene a ringraziare i volontari delle diverse fedi che lo hanno accolto al Memoriale. Dice: «Forse ci vedremo ancora o forse no, ma una cosa sola rimarrà nel mio cuore per sempre: il ricordo del vostro aiuto. Spero che Dio vi dia la forza e il coraggio di continuare. Grazie». Nel frattempo, il quindicenne Mohammed ha postato su Facebook una bandiera della Svezia per annunciare al mondo che lui ce l’ha fatta.