Rifugiati diventano docenti: il caso modello di Schio per l’integrazione
Dalla materna alle superiori, persone che sono fuggite da guerra e privazioni nel proprio paese insegnano sartoria agli studenti del Comune veneto: “così si sconfigge la paura del diverso, i ragazzi imparano e gli stessi profughi riacquistano la dignità perduta”, racconta la referente dell’associazione Il mondo nella città, che svolge attività di accoglienza.
Ore 9, a scuola c’è lezione di sartoria. Il docente? Ezra, 25 anni, rifugiata gambiana. O Arkan, 23, afgano. Succede da qualche anno a questa parte, e sempre più spesso, nelle scuole di ogni ordine – materna compresa – di Schio, provincia di Vicenza. Nel cuore di quel Veneto da sempre accogliente ma oggi alle prese con la crisi economica che intacca, in casi circoscritti ma rilevanti, anche la solidarietà verso il diverso. A Schio, invece, si respira tutt’altra aria: “portare queste persone nelle scuole è un’azione che fin da subito ha sconfitto la paura del diverso e, al contrario, ha aperto la comunità locale alle storie di queste persone, in fuga da guerre, persecuzioni e disagi di ogni genere”, spiega Chiara Ragni, referente dell’associazione Il mondo nella città, che da fine anni ’90, in particolare con lo scoppio del conflitto in Kosovo, segue la delicata situazione dei profughi che arrivano in Italia per chiedere asilo politico. “Oggi siamo inseriti in un progetto di una Rete di 13 Comuni della zona più vari enti della cooperazione sociale, e ci occupiamo di gestire la quotidianità delle persone che sono in attesa di sapere se la propria domanda verrà accolta o meno”, spiega Ragni. Attesa che da sei mesi può prolungarsi fino a un anno e mezzo a causa delle lungaggini burocratiche del sistema.
La scuola, dicevamo, è il cardine che rende rivoluzionaria e più che positiva la relazione tra profughi e cittadini, unabuona prassi che potrebbe diventare un modello. “Facciamo in media tre incontri, due in cui i docenti fanno imparare agli alunni tecniche di semplice sartoria, adattate naturalmente alle età, il terzo in cui presentano il loro vissuto e si scambiano racconti con i ragazzi”, specifica la referente de Il mondo nella città. Nell’anno scolastico appena concluso sono state 15 le sezioni in cui buona parte dei 25 richiedenti asilo – singoli e famiglie di afgani, ivoriani, iraniani, maliani e pakistani, e per tempi più brevi eritrei e siriani, poi ripartiti verso il Nord Europa – più altre persone che hanno ottenuto lo status di rifugiato si sono presentate a tenere i laboratori. “Il progetto si chiama Nuele, che in Swahili vuol dire ‘treccia’, nasce dal fatto che prima si intrecciava la carta per realizzare composizioni, ora si usano le stoffe, anche per realizzare borse. Avere un maestro richiedente asilo o rifugiato è un valore aggiunto sia per gli studenti, perché toccano con mano qualcosa di cui spesso sentono solo parlare in televisione, e per gli stessi profughi, perché riacquistano una dignità che spesso è venuta meno dopo la fuga dal proprio paese”, sottolinea Ragni…
da Vita.it
Antonella Napolitano
Categories: Segnalazioni
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